Stiamo facendo i conti con le conseguenze di un’epidemia mondiale, che ha segnato nel profondo non solo a livello umano, ma anche economico. Le chiusure forzate, le attività a rilento, i lavori da casa, hanno inevitabilmente modificato lo scenario socio-economico italiano, e non solo.
Ma come si traduce questo andamento sulle abitudini dei cittadini nonché consumatori? E a cosa devono assistere le aziende, grandi o piccole che siano?
La spesa alimentare: un punto di riferimento durante la quarantena
Hanno fatto scalpore e allo stesso tempo confortato, le rincorse ai supermercati da parte di numerosissimi cittadini durante il lockdown per Coronavirus. Sarà capitato a tutti forse di fare una spesa esagerata, con la paura di non trovare il necessario la volta successiva o anche solo per evitare spostamenti in più, viste le restrizioni del governo. Eppure, sebbene ci sia stato un vero e proprio crollo della vendita al dettaglio, dovuta principalmente alla chiusura di tantissime attività, e alla possibilità di acquistare online, la spesa destinata all’alimentazione è riuscita a tener testa, distinguendosi persino da quella nei grandi supermercati. Come le vacanze di prossimità, anche la spesa si è rivelata tale, si sono riscoperte le piccole botteghe.
Sebbene infatti i dati Istat hanno riscontrato una diminuzione delle vendite al dettaglio nel mese di aprile, scese del 10,5% rispetto a marzo, queste non sono da individuare in quelle alimentari. Si tratta di un aumento lieve (+0,6%) reso ancora più evidente se espresso nei seguenti valori:
- +6,9% dalla grande distribuzione;
- +9,3% dai discount;
- ben +11,2% per le piccole botteghe alimentari.
Da cosa dipende la spesa alimentare di prossimità?
In mezzo a tanti altri dati meno positivi, quello del commercio di prossimità si è rivelato un piccolo traguardo. I consumatori infatti hanno dimostrato fiducia nei confronti dei piccoli negozianti vicino casa, vista anche l’impossibilità di fare grossi spostamenti lontano dalle abitazioni durante la quarantena.
Bene da una parte secondo Coldiretti, dal momento che la filiera produttiva è stata possibile grazie alla presenza di circa 3 milioni di lavoratori che anche durante la Fase Uno hanno continuato a lavorare pur rischiando la loro salute.
Male dall’altra, dato che nonostante le impennate del commercio alimentare al dettaglio, il settore primario ha comunque risentito della crisi, portando ben sei aziende su dieci sull’orlo del fallimento.
Smart-working e vendita al dettaglio: che correlazione c’è?
Una delle cause forse più significative che ha spinto i consumatori a ricercare nelle piccole realtà i beni primari per la propria spesa, è stato anche il famoso smart-working. Anche se questa nuova modalità di lavoro (nuova per molti, ma utilizzata già da alcune aziende anche in periodi di normalità) ha significato un inevitabile crollo per i consumi alimentari fuori casa come nei bar, ristoranti e pizzerie per un totale di circa 43 miliardi di euro.
La quarantena infatti ha spostato le abitudini alimentari di ciascun nucleo famigliare da fuori casa a dentro le quattro mura. L’impossibilità di uscire per la pausa pranzo o di ricorrere al dolce espediente dell’aperitivo pomeridiano, ha infatti aumentato la spesa alimentare a vantaggio di supermercati e piccole botteghe.
Una serie di abitudini che sembrano comunque rimaste anche dopo il lockdown, seppur con qualche modifica: iniziano a tornare i prodotti freschi come ad esempio il pesce, quelli da viaggio, quelli per la cura del corpo come ad esempio i trucchi e anche le bevande per sportivi.
Il dato forse più simbolico di questi mesi è il netto crollo della spesa destinata alla farina, che passa dal 180% di aprile al 68% di maggio, così come i disinfettanti (da 280% di vendite a 59%).
Restano stabili quelle destinate alle mascherine: la possibilità di uscire, sia regionalmente che non, ha infatti aumentato ancora di più la necessità di adeguarsi alle normative vigenti per quanto riguarda l’utilizzo dei mezzi di protezione. L’aumento degli acquisti, pensate un po’, è del +21mila per cento!
Le botteghe si ritroveranno nel 2020 con numeri decisamente più alti rispetto agli anni precedenti, per volumi e per utili aziendali.
Si può pianificare l’impatto fiscale e impostare una gestione ottimale sulla base di questi stravolgimenti?
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